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IL BUIO NELLA MENTE
(LA CEREMONIE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 settembre 1995
 
di Claude Chabrol, con Isabelle Huppert, Sandrine Huppert, Jacqueline Bisset, Jean-Pierre Cassel, Virginie Ledoyen (Francia, 1995)
 
"Lo sapevamo da un pezzo, esattamente da quarantadue lungometraggi. Incostante ma sempre godibile, raramente sublime ma spesso ispirato Claude Chabrol si è comunque sempre ricordato di due cose: fustigare le malefatte della borghesia, ed affidarsi alla grande lezione di Alfred Hitchcock. Quella che dice che - a condizione di un utilizzo impeccabile del linguaggio - l'ambiguità, la duplicità offerta dalla trasparenza, dalla non-persistenza delle immagini cinematografiche, permette di sondare le infinite contraddizioni della coscienza umana. Se al suo quarantatreesimo film il regista riesce uno dei suoi capolavori (nella linea di LE BOUCHER, LA FEMME INFIDELE o BETTY) è perché in LA CEREMONIE queste due caratteristiche del suo cinema si esprimono con una forza ed un'armonia incomparabili.

LA CEREMONIE è la cronaca di quello che i francesi definiscono un "fait divers", probabilmente effettivamente accaduto: diligente e taciturna (anche perché affetta d'analfabetismo d'origine dislessica) Sophie, assunta come domestica da una famiglia di un industriale che vive vicino al mare in Bretagna, diventa l'amica della postina disinvolta ed estroversa del villaggio, Jeanne. Assieme, senza essere spinte da un motivo apparente, finiranno per massacrare l'industriale, la moglie proprietaria di una galleria d'arte, ed i loro due figli adolescenti. E se IL BUIO NELLA MENTE (chissà perché questa traduzione cretina?) è un affascinante viaggio negli abissi è proprio perché Chabrol non si limita ad enunciare quella cronaca, ma riesce a filmare quell'attributo: "apparente".

La nostra famiglia in riva al mare non è infatti peggio di tante altre . La signora (Jacqueline Bisset) è particolarmente felice di aver trovato la perla rara disposta a lavorare in una casa isolata, rinunciando magari ai congedi domenicali. Lui (un Jean-Pierre Cassel di misura perfetta) si premura persino di farle la conversazione mentre imburra le tartine alla colazione mattinale. Ed i due giovani sono addirittura dalla "sua parte" quando si tratta di discuterne i diritti oltre che i doveri. Saranno insomma anche un po' privilegiati: ma non certo antipatici. In quanto alle nostre due amiche (così dissimili, nel carattere, così identiche nella loro esclusione dalla società), certo, hanno un passato forse inquietante: di Sophie si dice che non avrebbe soccorso un padre infermo, di Jeanne che si sarebbe sbarazzata di un figlio handicappato. Ma, appunto, si tratta soltanto di maldicenze...

Chabrol s'insinua allora fra questi "si dice", in queste pieghe dei buoni principi che rispondono al nome di morale, giustizia, o semplicemente buone maniere. Fin dalla primissima sequenza, l'incontro in un bar fra Sophie e la signora; poi nell'arrivo alla stazione della ragazza, che appare all'improvviso sull'altro marciapiede, quando la padrona disperava ormai vederla arrivare. Momenti durante i quali s'impone come d'incanto tutta la forza, la convinzione, la destabilizzazione dello sguardo registico di Chabrol. Un modo di filmare (hitchcockiano, se volete) estremamente controllato e preciso: ma che sottolinea ad ogni istante il malessere, l'ambiguità del dettaglio fuori-norma. E che invia allo spettatore tutta una serie di micromessaggi premonitori, spesso volutamente fuorvianti, ma sempre progressivamente illuminanti.

Ma se il regista francese può essere definito hitchcockiano per la precisione del proprio discorso espressivo, non lo è certamente per i cammini ideologici ed etici che ambisce percorrere. Hitch non avrebbe mai filmato in mezzatinta il mistero di due mezze-matte che aiutano il parroco di domenica a raccogliere i panni per la beneficenza: e poi fanno fuori quattro borghesi mentre canticchiano il Don Giovanni davanti alla TV. Hitch sarebbe andato dritto per il proprio cammino: da un parte i cattivi e dall'altra gli innocenti, partire dal bianco per giungere al nero. Chabrol può raccontare di aver voluto fare l'ultimo film marxista, tanto nessuno gli crede: ha fatto un film sui dubbi, non certamente sulle certezze. Perché la certezza - sembra piuttosto volerci dire - è proprio ciò dal quale dobbiamo diffidare: ciò che finisce per costruire dei comportamenti come quelli della distinta famiglia nel parco della Bretagna. Priva di dubbi, finisce per tirare a sé tutti i vantaggi di una giustizia costruita a propria misura.

Filmare il dubbio, l'incertezza, evitare l'affermazione, la cronaca significa interrogarsi: risalire dagli effetti alle cause. Se LA CEREMONIE ci lascia affascinati e sgomenti (affascinati per la maestria con la quale Chabrol ci conduce con le sue inquadrature significative, sgomenti per la conclusione "irragionevole" dei fatti) è perché l'autore ci obbliga ad interrogarci sulle cause, evitando come la peste l'idea di spiegare nel suo film i perché: tanti piccoli, apparentemente insignificanti dettagli, che costellano il film. Tante piccole, progressive prese di potere che fanno si che un individuo finisca per avere il sopravvento su un altro.

Inseriti nel cerimoniale suggerito dal titolo, eternizzati dalla sacralità che sottintende il concetto del rituale, i dettagli minimalisti del film, le piccole crepe nella costruzione si affermano nella quotidianità, nel contegno come nell'allegria (Sandrine Bonnaire e Isabelle Huppert sono assolutamente formidabili in questa direzione): e conferiscono al film una dimensione vertiginosa. Quella che appartiene all'universo - illuminante e destabilizzante - dei capolavori."


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